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Materiale Didattico

Ri-orientare il proprio futuro


Negli ultimi anni mi sono occupata di facilitazione linguistica in Scuole Secondarie di II Grado, nello specifico in istituti tecnici e professionali ove il numero di alunni di origine straniera è più elevato.

Ho osservato, attraverso brevi interviste agli studenti, che nella maggior parte dei casi la scelta della scuola è del tutto arbitraria o dettata dalle necessità del momento.

Una costante che ho potuto rilevare nelle argomentazioni è la “facilità”: “Ho scelto un professionale perché è più semplice e posso fare anche solo tre anni” oppure “I miei genitori hanno scelto per me pensando al lavoro che potrei fare in futuro.”

In rari casi la scelta sembra tener conto delle attitudini e passioni dello studente, al quale non viene quasi mai presentato il ventaglio delle possibilità di cui realmente dispone.

All’orientamento dello studente straniero vengono applicati dei filtri linguistici “Se non sa l’italiano non può certo affrontare un liceo” e di spendibilità del titolo “Se poi smette di studiare, almeno ha un titolo che può tornare utile per trovare lavoro.”

A mio parere queste sono considerazioni pregiudiziali, mentre la scelta del percorso scolastico dovrebbe essere il frutto di una riflessione consapevole che vede come protagonisti lo studente e la sua famiglia che, talvolta, non è sufficientemente informata sull’organizzazione della scuola italiana.

Proprio poco tempo fa mi sono occupata di un alunno di origine straniera frequentante la classe seconda di un istituto tecnico, al quale era stato consigliato di ritirarsi e di frequentare un corso in preparazione all’esame di terza media perché difficilmente sarebbe arrivato ad affrontare la maturità.

Un consiglio simile sarebbe mai stato dato a uno studente italiano a rischio bocciatura?

La riposta è probabilmente un no e il suddetto consiglio, oltre a non tenere conto degli aggiornamenti sulla normativa riguardante l’ammissione degli alunni stranieri all’esame di maturità, è un consiglio che arriva con arrogante anticipo rispetto alla valutazione del profitto effettivo dello studente.

Da quanto osservato nella mia esperienza personale, le famiglie sono spesso poco coinvolte nei processi scolastici a causa di problemi legati alla lingua o alla reale conoscenza del sistema scolastico italiano.

Come evidenza Barbara D’Annunzio nel suo volume Lo studente di origine cinese, la relazione scuola-famiglia in Cina, per esempio, si differenzia molto dal nostro modello.

L’insegnante riveste il ruolo della figura autorevole anche sul piano morale, per cui la famiglia affida lo studente alla scuola e non vi è una compartecipazione nelle scelte legate all’andamento scolastico.

Questo è solo un esempio che evidenza, però, come si dovrebbe ripensare l’orientamento: non si dovrebbero escludere a priori i licei o gli indirizzi cosiddetti “difficili”, bensì fornire gli strumenti adatti a orientarsi all’interno di questa difficoltà.

Anche perché la facilità degli istituti tecnici o professionali è un falso mito da sfatare, per un alunno straniero neo- arrivato non è affatto semplice affrontare le materie di indirizzo delle scuole sopra citate a causa dell’impiego di una terminologia specifica che non è appannaggio di uno studente con scarse competenze in L2.

I dati osservati nella mia esperienza quotidiana trovano significativo riscontro nei dati raccolti dal Miur in riferimento all’a.s. 2016/2017 a proposito della distribuzione degli studenti stranieri nella Scuola Secondaria di II grado.

La tabella riportata di seguito riguarda gli alunni con cittadinanza non italiana per settore di Scuola Secondaria di II grado. Dalla raccolta dei dati emerge che le percentuali più alte si trovano in corrispondenza degli istituti tecnici e professionali.


 

 [1]

 


È interessante notare che ci sono delle differenze tra gli alunni stranieri nati in Italia e quelli nati all’estero.

Nella tabella che segue emerge che gli studenti nati in Italia sono più favorevoli a tentare percorsi più impegnativi. Un incremento particolare si riscontra nei licei scientifici e linguistici.


 

 [2]


Un’altra considerazione può essere fatta a partire dalle differenze di genere.

Si può osservare che, in generale, la percentuale di studentesse che frequentano il liceo è più elevata rispetto a quella degli studenti maschi.

 

[3]



Lo stesso documento mette in evidenza anche che i giovani tra i 18 e i 24 anni sono soggetti a un rischio elevato di abbandono scolastico ma, aldilà di ogni statistica, credo sia riscontrabile nella realtà quotidiana delle nostre classi.Se si prendono in considerazione i percorsi professionali, la differenza non è così significativa se si guarda alla percentuale totale. Se si considerano i dati specifici si può osservare che i maschi preferiscono il settore professionale legato all’industria e all’artigianato, mentre le femmine il settore dei servizi.

Concludo dicendo che la mancata conoscenza della lingua diventa un alibi per non porci delle domande che potrebbero innescare un auspicabile cambiamento di tali consuetudini.

Il successo scolastico non affetta solo l’apprendimento ma, anche e soprattutto, la formazione dell’identità dello studente e lo sviluppo delle sue potenzialità.

Sono fortemente convinta che ogni studente meriti di fare una scelta libera da pregiudizi o da percorsi obbligati e sta a noi garantirgli questo diritto.

Ciò può essere fatto con la collaborazione dei mediatori culturali che possono farsi garanti di far giungere alle famiglie le informazioni corrette e comprensibili e di tradurre le aspirazioni e i desideri degli studenti.

E, naturalmente, si sente forte l’urgenza di avere docenti preparati alla complessità del panorama scolastico odierno.

 

Alessandra Nucci
 


Vuoi raccontarci la tua esperienza in aula, arricchire queste considerazioni con le tue, oppure offrire nuovi spunti per la discussione? Scrivici a questo indirizzo vitadaula@loescher.it

  

 


[1] Fonte: MIUR - Ufficio Statistica e studi"; "Fonte: elaborazione su dati MIUR - Ufficio Statistica e studi

[2] Ibid.

[3] Ibid.

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