Ancora sull'abilità di ascolto: trascrizione sì o trascrizione no? Quattro proposte
Esiste un tema molto dibattuto tra gli insegnanti di italiano L2: quando si propongono attività di ascolto, è bene consegnare la trascrizione della traccia audio agli studenti oppure no?
È uno di quei temi per cui non esistono ricette preconfezionate, né qualcuno che possa dire cosa è giusto o cosa è sbagliato.
Generalmente, a favore della consegna della trascrizione c’è l’idea che, così facendo, lo studente possa confrontare quanto ha ascoltato col testo scritto, dove può soffermarsi con più calma e verificare l’effettiva comprensione dell’input orale. Chi è contrario alla consegna della trascrizione, per contro, lo è perché ritiene che un testo input orale serva ad esercitare l’abilità di comprensione orale, mentre un testo scritto quella di comprensione scritta: in altri termini, ascoltare e leggere non sono la stessa cosa, ed è ben difficile “ascoltare” un testo scritto.
Personalmente, pur lavorando molto su parti di trascrizioni, scelgo di non consegnarle mai tal quali senza dedicare spazio e lavoro ad aspetti che mi paiono centrali nel testo. Allo stesso tempo, comprendo molte delle motivazioni di fondo per cui i docenti, spesso, decidono di consegnarla.
Proverò quindi ora ad analizzare quattro ragioni per cui la consegna dello script è ancora molto popolare, ragioni che ho intercettato chiacchierando con gli insegnanti negli anni. Per ciascuna di queste ragioni proporrò poi un’attività a costo zero (cioè realizzabile senza l’ausilio di particolari strumentazioni e senza dover preparare troppi materiali in anticipo, a garanzia dell’adattabilità della proposta alle reali esigenze del momento) mirata e specifica, alternativa alla semplice consegna del testo scritto.
Le prime tre proposte sono pensate per la fase successiva al percorso sull’ascolto proposto dal manuale che abbiamo scelto, quindi al termine del percorso di comprensione globale, e ad arricchimento del momento di comprensione analitico. L’ultima può essere svolta in qualsiasi momento.
1. Gli studenti ne hanno bisogno, spesso me lo chiedono. Da un lato la consegna dello script può rassicurare lo studente, e lo fa perché offre un supporto fisico, il foglio che si tiene in mano, che funziona psicologicamente come ancoraggio alla realtà. Eppure, se da un lato questo supporto può dare sicurezza, dall’altro rischia di ritorcersi contro lo studente stesso, a sua insaputa. Condivido la riflessione di Steven Brown quando afferma che consegnare lo script ad ogni ascolto è rischioso perché “incoraggia lo studente a pensare che è necessario per lui capire tutto” [1]. Credo che, a livello più o meno inconscio, sia lo stesso meccanismo che scatta nella mente dell’insegnante: consegno il testo scritto così la comprensione è completa. Ma questo non sempre è vero. Come posso avere infatti la garanzia che, solo cambiando il canale da orale a scritto, la comprensione sia completa? E, ancor di più, perché io o i miei studenti ci aspettiamo che di quel brano venga capito tutto? È lo stesso QCER [2], nei descrittori dei singoli livelli, a ricordarci che l’obiettivo “capire tutto” è sproporzionato. Peraltro, l’idea di dover capire tutto innalza enormemente il filtro affettivo, perché è vista come una sfida ai limiti dell’impossibile, una battaglia già persa in partenza. È la madre di tutti i (falsi) “non capisco niente” che sentiamo in aula.
Attività a costo zero. Scegliere uno o due enunciati significativi del brano che si ascolterà, significativi per gli obiettivi che ci si è dati. Al termine del lavoro di comprensione orale proposto dal manuale, scrivere i due enunciati alla lavagna lasciandoli incompleti, e chiedere agli studenti di completarli facendo ascoltare tutte le volte che serve.
2. Gli studenti fanno fatica a distinguere le singole parole, se le leggono capiscono dove inizia una e dove finisce l’altra. Certamente, questo è un tema importante. La comprensione (non solo in italiano L2) spesso è inficiata dalla fatica a riconoscere le singole parti del discorso. Se però il testo input è lungo, anche aspetti che si possono notare lì per lì rischiano poi di finire nel dimenticatoio, perché c’è molto dentro un testo e non tutto può essere assorbito immediatamente.
Attività a costo zero. Questa proposta si ispira agli utili esercizi “Ascolta e ripeti” di cui è ricco Primo Contatto (link all’opera cliccando qui).
Scegliere nel testo input tre/quattro passaggi per noi importanti, che lo studente vorremmo portasse a casa dopo quell’ascolto. Per esempio, in un brano che ha come focus l’uso del passato prossimo, potrebbero essere frasi che contengono l’ausiliare avere in prima persona “Io ho visto” “Io ho mangiato”… perché l’orecchio effettivamente non coglie la doppia o pronunciata come se fosse una legando il pronome personale all’ausiliare. Far ascoltare e ripetere ciascuna frase tutte le volte che serve perché gli studenti ne abbiano colto e possano riprodurre gli aspetti essenziali. Quando si raggiunge un discreto livello di padronanza, chiedere “quante parole?” e aspettare la risposta. Poi, contando con le dita (tecnica semplicissima e di elevata efficacia che ho imparato dal grande maestro che è stato Cristopher Humphris), ripetere lentamente le parole una ad una insieme agli studenti, portandoli via via a riflettere su cosa c’è, cosa manca, cosa è diverso. Una volta terminata questa parte, riproporre un paio di volte “ascolta e ripeti” a velocità normale, per lavorare su fluenza e intonazione. Se si ritiene, al termine scrivere la frase alla lavagna.
3. Gli studenti non conoscono le parole, e allora non capiscono. Altro tema importante, il lessico. È vero, può capitare che gli studenti non conoscano alcune delle parole chiave del brano scelto, e che quindi alcune parti sfuggano alla comprensione. È altrettanto vero che, se il brano che abbiamo selezionato è adatto al livello della classe e se abbiamo adeguatamente introdotto il lavoro di comprensione con delle attività mirate di pre-ascolto, è difficile che lo studente non capisca nulla di quello che sta ascoltando.
Attività a costo zero. Scegliere nel testo input 10 parole importanti, scriverle alla lavagna e verificare con calma che per tutti sia chiaro il significato di ogni vocabolo e chiarirlo se necessario. Invitare gli studenti ad ascoltare nuovamente e ad alzare la mano quando sentono le parole viste insieme. Le parole non devono necessariamente essere date nell’ordine in cui vengono pronunciate nel brano. Si può concludere l’attività lavorando sulla frase in cui ogni parola è inserita. Se per esempio avessimo chiesto di individuare la parola “testa”, potrebbe essere molto utile soffermarsi anche su “mi fa male la testa”: senza alcuna spiegazione metalinguistica, si sarebbe fornito lo strumento per lavorare sia sul lessico che sull’importante funzione descrivere un sintomo.
4. Gli studenti vogliono essere certi di aver capito giusto. Torniamo al tema del punto 1, è davvero necessario capire tutto? Nelle mie classi, preferisco spiegare che la comunicazione serve per raggiungere un dato obiettivo, che può essere veicolare un messaggio (“Sapessi cosa mi è successo ieri!”) oppure ottenere un’azione concreta da parte di un altro attore della comunicazione (“Per favore, vai tu a comprare il pane?”). Nel primo caso, comprendere l’intonazione della frase e la parola “ieri” è sufficiente a raggiungere l’obiettivo, così come nel secondo “tu”, “comprare” e “pane”. È allora importante concentrarsi anche su tutto ciò che va oltre le parole e tenere in considerazione tutto ciò che, in aggiunta e al di là di esse, compone la comunicazione.
Attività a costo zero. Un po’ più articolata delle precedenti e di stampo decisamente ludico, può dare ottimi risultati. Per studenti di livello minimo A1 (cioè non per principianti assoluti). Proiettare il video della recita da parte di Gigi Proietti della poesia “il lonfo” (link cliccando qui. Ringrazio Alessandra, che per una stagione è stata mia maestra di improvvisazione teatrale, per avermelo fatto conoscere), chiedendo agli studenti di confrontarsi a coppie o piccoli gruppi per individuare cosa è il lonfo e di portare elementi a sostegno della propria ipotesi. È importante guardare il video tutte le volte che serve, evitare di interferire con il processo di analisi del testo degli studenti e chiarire bene che per questo tipo di attività non sarà consentito l’uso di dizionari. Mantenersi sul piano della comprensione globale e invitare gli studenti a inserire nella propria argomentazione tutti gli elementi che sembrano pertinenti (variazioni nel tono di voce, espressioni del volto, gestualità dell’attore…). Dopo aver lasciato adeguato spazio al confronto, rivelare la vera natura della poesia, ed esplicitare che, seppure in forma meno marcata, ogni volta che ascoltiamo accade esattamente questo: facciamo ipotesi basate su più elementi, ed è l’insieme di questi elementi a determinare la comprensione. Capire le parole è solo una piccola parte.
Volendo, si può poi arricchire questo lavoro con una riflessione sulla formazione delle parole e delle frasi (i verbi “vaterca” e “gruisce” per esempio, oppure “quando soffia il bego a bisce bisce”, o tutto quello che si vuole, la poesia è ricchissima di elementi che si prestano a riflessione metalinguistica).
In conclusione, credo che, come per molte altre cose, la giusta strada si trovi nel punto di incontro tra i due estremi. È utile dunque concentrarsi su alcuni momenti chiave del brano ascoltato, in modi di volta in volta declinabili secondo quanto sta accadendo in classe in quel momento: spesso ho notato che lo stesso testo input, proposto in classi diverse, porta a riflessioni sempre nuove e differenti. Su quei momenti sì, ha senso proporre una riflessione che nasce dal testo scritto, magari più che consegnandolo chiedendo e stimolando gli studenti a “consegnarselo”. Un lavoro di questo tipo sarà percepito come profondamente utile da parte degli studenti, e come in tutti i circoli virtuosi, il senso di utilità sarà rimandato anche all’insegnante. Che sia chiaro: ci vuole tempo prima di modificare meccanismi consolidati. Nella mia personale esperienza, è tempo ben investito, perché porta a quell’obiettivo ultimo della didattica che amo citare spesso avendolo sempre ben chiaro davanti agli occhi: rendere lo studente autonomo nelle interazioni linguistiche fuori dal contesto protetto dell’aula.
Volete condividere altre attività, modalità e tecniche che usate in aula per raggiungere questo obiettivo? Scrivetele nei commenti!
Nadia Fiamenghi
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[1] S. Brown, Listening Myths: Applying Secon Language Research to Classroom Teaching, Michigan ELT, 2011, traduzione mia
[2] QCER – Quadro Comune Europeo di Riferimento per la Conoscenza delle Lingue