Umorismo e comicità: una sfida per l’insegnante di italiano l2
Ridere e far ridere: un mezzo efficace per coinvolgere, catturare l’attenzione e motivare. Lo sapevano bene i mattatori della commedia all’italiana e non l’hanno dimenticato certi docenti dal profilo forse un po’ idealizzato ma sicuramente all’avanguardia.
Per l’artista - romanziere, attore o musicista che sia - lo humour è uno strumento espressivo molto potente, una sorta di asso nella manica che può svolgere diverse funzioni: dalla critica sociale al semplice intrattenimento, dal puro nonsense all’esagerazione surreale. Per chi, invece, si trova ad interpretare i prodotti di una data tradizione culturale al fine di trasmetterli a un pubblico, umorismo e comicità costituiscono una via preferenziale per motivare qualsiasi neofita alla conoscenza, allo studio e alla ricerca.
È fuor di ogni ragionevole dubbio, infatti, che la possibilità di conoscere divertendosi aumenti esponenzialmente gli stimoli dei discenti e che, di conseguenza, anche il loro rendimento ne benefici. Usare lo humour come una sorta di piccolo utensile, dosandolo di lezione in lezione per stimolare l’apprendimento, è una via apprezzabile, che può sfruttare anche le potenzialità - a tratti ancora inesplorate - delle numerose attività di carattere ludico a disposizione del docente.
L’impatto di una certa tradizione umoristica o comica, però, non ha molto a che vedere con questa funzione strumentale e di certo non si esaurisce in una semplice proposta motivazionale. Legandosi a doppio filo alle peculiarità della lingua con cui si esprime, tale coté umoristico inevitabilmente sarà caratterizzato da quelle particolarità di cui solo una data cultura può disporre. Con tutte le problematiche del caso.
Proviamo a pensare, ad esempio, ai motivi per cui il rinomato british humour può risultare difficilmente comprensibile a chi conosce poco della lingua e della cultura d’oltremanica: alcuni lo adorano, altri lo trovano poco divertente, altri ancora avvertono un profondo imbarazzo. La diversità nelle reazioni dipende sempre dal background culturale della persona, un background che si compone di conoscenze pregresse, abitudini e informazioni nuove sulla lingua e sulla cultura in questione.
Anche l’italiano ha un proprio modo di fare umorismo e questo non può che sfruttare il suo background, avvalendosi peraltro dei numerosi mezzi offerti da una lingua ricca e varia come la nostra.
Questo per dire che avvicinarsi a una tradizione comica implica sempre uno scarto, che si traduce nella difficoltà di capire dove effettivamente stia l’umorismo. Perché quella battuta che abbiamo appena sentito fa così ridere? Da dove trae origine quell’equivoco o quel gioco di parole? A che cosa si riferisce quel motto di spirito? Sono tutte sfaccettature di senso che inevitabilmente dipendono dal sistema-lingua del nostro paese: elementi verbali, gestualità, inferenze e sottintesi che trovano i propri riferimenti nel nostro corredo storico-culturale. Ecco perché capire l’umorismo risulta particolarmente complicato per un apprendente straniero: non è sufficiente una conoscenza ampia e approfondita delle strutture della lingua, ma occorre padroneggiare anche buona parte dei referenti a cui questa s’appoggia. E parlo di macroaree tematiche che da sempre ci offrono l’occasione di fare dell’ironia, come la politica, la storia, la geografia e la gastronomia: tutto ciò che è tipologicamente italiano entra a far parte del nostro microcosmo umoristico e richiede di essere conosciuto per poter capire l’uso strumentale che ne fa la commedia.
Una proposta di lezione: umorismo e comicità dal cinema a Internet
Mi è capitato recentemente di proporre un percorso di carattere storico e critico sull’umorismo nel cinema italiano, nell’ambito di una lezione di cultura in contesto universitario. La lezione era rivolta a una classe di adulti di livello B2/C1, composta da studenti universitari coinvolti in programmi di mobilità internazionale e da privati.
Il punto di partenza era naturalmente la tradizione della commedia all’italiana con i suoi volti e i suoi leitmotiv: dopo alcuni brevi cenni teorici ai protagonisti più celebri - che alcuni alunni “esperti” hanno prontamente riconosciuto - il lavoro s’è configurato come alternanza tra la visione di alcune clip tratte da film iconici, commenti in plenaria ed esercizi volti a verificare la comprensione e a stimolare la riflessione individuale (scelta multipla, abbinamento, task di transcodificazione, ma anche domande aperte e produzione individuale...).
Uno step importante è stato cercare di far comprendere la distanza tra due modi profondamente diversi (ma contemporanei) di intendere l’umorismo: da un lato, l’iperbole tutta volta alla critica sociale che troviamo nella figura tragicomica del ragionier Fantozzi, dall’altro il black humour, la giocosità e la spensieratezza degli Amici di Mario Monicelli. Al di là delle opinioni personali, è stato interessante notare come la maggior parte degli studenti abbia immediatamente capito dove la risata “andasse a parare”: se nel personaggio di Fantozzi la buffoneria era estremizzata al fine di denunciare lo sfruttamento e la condizione abulica dell’impiegato medio, nei cinque “zingari” emergeva la volontà di non prendere mai troppo sul serio se stessi e la vita in generale.
D’altro canto, è stato altresì sorprendente notare come il trattare film piuttosto datati all’inizio abbia coinvolto maggiormente gli studenti più giovani, che non potevano conoscerne le particolarità, forse incuriositi da quelle inquadrature su una realtà lontana tanto nel tempo quanto nello spazio. Al contrario, gli apprendenti con maggior esperienza hanno rivelato un interesse crescente nella seconda parte di lezione, durante la quale è stato affrontato quel percorso d’involuzione della commedia iniziato con l’arrivo della televisione commerciale e culminato con il trionfo dei cine-panettoni. Particolarmente significativo è risultato il rapporto tra un certo modo di far commedia e il processo di decadimento dei costumi e di impoverimento culturale che il nostro paese ha conosciuto a partire dagli anni Novanta: quel che è risultato evidente è che alcuni studenti trovavano proprio nella capacità del cinema - e in particolare del cinema comico - di rispecchiare l’evoluzione dei comportamenti e delle abitudini degli italiani il punto più interessante della lezione.
E questo suo esser specchio, piuttosto che rovesciamento ironico, del reale è ciò che propriamente ha portato certi stilemi narrativi verso la ripetitività e la banalizzazione, con l’abuso sempre più insistito di stereotipi e macchiette, rinunciando al contempo a ogni pretesa artistica e critica.
Nella parte conclusiva della lezione, s’è fatto un rapido cenno alle novità portate da Internet: dall’impatto delle piattaforme streaming con il trionfo della serialità e della continuità tematica alla globalizzazione e alla standardizzazione della comicità con il fenomeno dei meme.
Che un gruppo di studenti di italiano L2 sia stato in grado di riconoscere processi di questo tipo, di analizzarli e di commentarli è stato per me motivo di grande stupore e ammirazione, non fosse altro perché è stata la dimostrazione di come ad alti livelli di competenza difficilmente ci si fermi in superficie, ma si preferisca analizzare i fenomeni con occhio critico, mossi da motivazioni che vanno ben oltre il superamento di un esame, ma che hanno a che vedere con la volontà di abbracciare, comprendere e fare propria una certa tradizione culturale.
Chiaramente un percorso di questo tipo, che nella sua struttura di lezione frontale richiede impegno, concentrazione e partecipazione, può essere proposto solamente ad apprendenti che abbiano conoscenze approfondite non solo della lingua, ma anche dell’italianità in senso ampio.
Manuel Pezzali