Del felice argomentare
Qualche anno fa ho vissuto una delle esperienze più belle e probabilmente più complesse nella mia carriera di insegnante: un anno con una quinta di scuola professionale, origine degli studenti tutto il mondo, letteralmente.
Uomini nel corpo e adolescenti nel cuore, come è normale che sia per ragazzi di età compresa tra i diciotto e i vent’anni, un giorno cominciano a raccontare di come per loro sia importante e giusto concedersi una “serata brava” almeno una volta a settimana. Astenendomi dal dire la mia sull’argomento, non fosse altro che perché nessuno mi ha chiesto di farlo, li lascio parlare per un momento. Poi chiedo al più determinato sostenitore di quella tesi: “Perché pensi serva darsi alla pazza gioia per divertirsi?” “Eh… perché è bello!” “Ok, e perché è bello?” “Eh, … è bello.”
Lascio cadere l’argomento, abbiamo una lezione da portare avanti. La volta seguente riprendo il tema, proponendo una lettura, un video, lo spezzone di un film e un testo scientifico, il tutto equamente suddiviso tra testi che sostengono la bellezza delle serate brave e altri che propongono forme di divertimento diverse e altrettanto efficaci. Poi li divido in due gruppi per creare una giuria, i numeri dispari sull’elenco del registro di classe fanno gli avvocati difensori della tesi, i numeri pari sono l’accusa. Il giudice sono io, ma chiarisco bene che non giudicherò le tesi in sé, bensì le capacità di argomentarle. Mi aspetto almeno dieci punti ben spiegati da parte di ciascuno dei due gruppi, a sostegno delle loro posizioni.
I gruppi lavorano, discutono, qualcuno la butta sul ridere poi tornano seri, accadono molte cose nelle due ore successive. E alla fine eccoli lì, schierati in due linee una di fronte all’altra, in maniera quasi militaresca, a sfidarsi a suon di ragionamenti.
Non ho inventato io questo tipo di lavoro. La prima volta che l’ho visto fare è stato in terza superiore (ho frequentato l’istituto magistrale), quando la nostra professoressa di psicologia ci ha chiesto di fare lo stesso sul tema delle punizioni in ambito educativo. Me lo ricordo bene perché ero stata sorteggiata per difendere la posizione contraria alla mia. Mi ricordo come avevo davvero dovuto spremere le meningi per trovare un’idea e per renderla abbastanza chiara al resto della classe.
Credo che la forza straordinaria di questa attività stia nella necessità di mettersi nei panni dell’altro. Argomentare, del resto, richiede questo: avere un’idea ben chiara in mente e allo stesso tempo avere le idee di altri altrettanto chiare così da poter rispondere in maniera precisa e circostanziata.
Per gli adolescenti argomentare può essere particolarmente complicato, perché, come viene spiegato benissimo nell’introduzione di Pro e contro junior – materiali per lo sviluppo della capacità di argomentazione orale per adolescenti ( //www.bonaccieditore.it/pro-e-contro-junior.n2843 ): “Parlare di un argomento controverso non è facile: bisogna conoscere il tema, avere delle opinioni personali, saperle organizzare in un discorso logico. Non è facile in particolare se si deve discutere con altri che hanno idee diverse: bisogna saper intervenire nel dibattito al momento opportuno, portare avanti il proprio parere, contrastare quello degli altri con argomenti coerenti e in maniera cortese”.
Colpisce come quell’operazione tanto importante, quella del “mettersi nei panni dell’altro”, venga unita nel manuale a un'altra modalità di successo con i ragazzi: la recitazione. Il tutto in modo graduale, per evitare quel senso di imbarazzo e disorientamento che può, legittimamente, colpire qualcuno che si ritrovi improvvisamente a dover inscenare qualcosa. E così, dopo una motivazione che muove da un’immagine, dopo la presentazione di testi di origine diversa che sostengono i pro e i contro di ogni argomento (sono tutti temi interessanti per un pubblico adolescente) e dopo aver proposto un lavoro linguistico su ogni articolo e varie attività per imparare ad argomentare, si introduce l’attività teatrale.
In questo esempio tratto dalla prima unità, che ha per titolo “Vale la pena essere sinceri?”, si nota come la recitazione dapprima è molto guidata. Si tratta infatti di inscenare un breve copione già scritto di cui si spiegano il contesto, i personaggi e gli scopi comunicativi
Nella seconda parte, la parola viene data ai ragazzi, liberi di creare il proprio copione seguendo alcune indicazioni relative a situazione e contesto
Insomma, un manuale che, oltre a proporre attività più strettamente didattiche, coinvolge i ragazzi portandoli a percepire come altre opinioni siano possibili, come sia possibile ascoltarle per arricchire la propria, e come si possa fare il tutto con piacere e in modo creativo.
Sono convinta che svolta in modo divertito e divertente, senza prendersi troppo sul serio pur facendo un lavoro serissimo, giocando un po’ con le espressioni, la gestualità e l’uso della voce (e quindi non limitandosi alla banale lettura dei copioni) questa attività possa migliorare le capacità comunicative dei ragazzi, stranieri e non, sia in aula che fuori. E questo è un ottimo investimento sia sul loro presente che sul loro futuro.
Nadia Fiamenghi