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Materiale Didattico

Essere insegnante-imprenditore: quando la rete fa la differenza


Caro Marco,

cosa significa essere un insegnante-imprenditore? Entrambi lo siamo, e per me questo significa scegliere sempre proposte che calibrino la necessità (imperativa dal mio punto di vista) di qualità didattica eccellente, e le richieste del mercato, cioè dei nostri studenti che, nel nostro caso, sono anche clienti.

Questo si traduce nella scelta di attività stimolanti, coinvolgenti, pratiche e magari a volte non convenzionali. In realtà poi il segreto è per me smettere i panni dell'imprenditrice quando inizio la lezione. Sono due momenti e due modi diversi di esercizio della mia professionalità, ma è vero che la nostra didattica è più vincolata alla soddisfazione dell'utente rispetto a quanto lo possa essere quella di una scuola pubblica.

 


 
 

Cara Nadia,

ecco alcune osservazioni sull’essere insegnante-imprenditore.

I problemi di tempo con cui mi confronto li conosci, ma non sono i soli: devo comporre condizioni e obiettivi diversi. Ci sono gli obiettivi linguistici da perseguire; c’è l'aspettativa di vivere il viaggio, immergersi nel contesto italiano, fare esperienze degne di essere ricordate (i viaggiatori); c’è l’aspirazione ad incrementare gli affari, promuovere i propri servizi, diversificare l'offerta, pubblicizzarla adeguatamente (le strutture di accoglienza); c’è la mia personale esigenza di dare continuità a questi progetti, di fare in modo che producano altre iniziative analoghe e più importanti, crearne di nuove ed originali, riproducibili, personalizzabili, per rendere questo lavoro remunerativo e capace di sostenere la concorrenza delle grandi piattaforme, delle tecnologie, dell’IA applicata all’apprendimento delle lingue, ecc. ecc.

È un compito troppo ingente che va condiviso.

A presto,
Marco

 


  


 

Caro Marco,

quanto scrivi mi trova completamente d'accordo. Proprio per la natura della proposta, sono molti i fattori che entrano in gioco, e la didattica è solo uno di questi. Anche se, all'apparenza, è proprio l'aspetto per cui i nostri corsisti/clienti si rivolgono a noi. Uscire dall'aula significa allora per noi anzitutto allargare gli orizzonti, coinvolgere più realtà e rendere la proposta dinamica, nuova e allo stesso tempo immediatamente riconoscibile per l'utente in qualcosa di noto, altrimenti si crea straniamento. Ho guardato la tua proposta e ho visto che il tuo progetto somiglia molto al mio, anche se il tuo è dedicato in esclusiva all'italiano mentre il mio a tante lingue. Poi tu hai il blended learning, che al momento nella mia proposta manca, ma mi piace sapere che ci sono altre persone che credono in questa modalità di lavoro sulle lingue.
 

 

 

Cara Nadia,

ti dico subito che sono entusiasta del tuo progetto, pieno di idee, di progetti realizzati e da realizzare, un grande lavoro dietro, accumulato negli anni, tutta sostanza, un’idea chiara e netta, qualcosa che unisce cultura, lingua, territorio, viaggio. Fuori dagli schemi dei siti di lingue straniere italiani. Siamo su questa onda e non a caso. Il mio sito d’altra parte vuole riflettere le stesse cose. Avrai visto che si tratta di un manufatto artigianale, tutto creato in casa, persino gli scarabocchi che lo illustrano sono fatti da me, ma anch’io volevo scansare quella patina di artificiale, plastificato, stereotipato che vedo spesso quando capito su un sito di lingue, comprese le famose piattaforme, con quelle orribili foto per ogni occasione. Qui preciso: mi riferisco alle piattaforme vetrina, quelle che mettono in fila docenti di diverse materie, in concorrenza tra loro quasi solo sui prezzi. Rincorsa inevitabile nel web, dove non vi sono confini di nessun genere, il limite è il mondo - e per fortuna - ma allora la sfida diventa più complessa, più difficile da affrontare e vincere. Trovarsi sulla soglia di un nuovo modo di insegnare e apprendere è per me una fonte continua di motivazioni nuove e splendenti, soprattutto se riesco a condividere idee e prospettive.

Dicevo che non a caso ci troviamo o siamo arrivati entrambi a questo modo di intendere l’insegnamento di una lingua straniera, cioè strettamente legato al contesto reale, nei termini che dicevo sopra: affrontiamo una volta per tutte la questione della sostenibilità del nostro lavoro, della mole di impegno che richiede a fronte di entrate non sempre adeguate e noi abbiamo scelto una strada che di lavoro ne richiede molto. L’unica possibilità per noi di renderlo accettabilmente remunerativo è standardizzare certi processi, creare dei protocolli ripetibili, intendo schemi di lavoro che una volta creati diventino contenitori di progetti didattici diversi anche articolati nelle modalità, adattabili (d’accordo con te sulla personalizzazione, sul fatto che ogni individuo è un mondo  e che i cambiamenti in ognuno di noi sono continui ed esiste la necessità di avvertirli, di renderli significativi per chi fa questo lavoro e si pone nell’ottica del regista di contesti comunicativi). Credo che tu stia già facendo questo, creare protocolli, intendo.

Non solo. Sempre nella prospettiva della sostenibilità, trovo la strada aperta a livello accademico dai Mooc (Massive Open Online Courses) molto indicativa; dobbiamo cominciare a produrre moduli che possano essere frequentati via internet facilmente, da un pubblico esteso e a prezzi accessibili, possibilmente certificabili e articolandoli, proprio per le lingue, nella doppia modalità sincrona (presenza del tutor, face to face)  e asincrona (moduli pre-elaborati). Si può cominciare con una serie di semplici podcast con trascrizioni, a diversi livelli di difficoltà, calibrati su esigenze specifiche dei destinatari, sui quali poi aprire un confronto con il tutor, di durata concordata. Anche qui però la personalizzazione è essenziale, esistono corsi di italiano gratuiti in rete, ma non saprei proporli, sinceramente, non ai miei destinatari.

Poi c’è la produzione di materiali didattici, altro settore che può essere sinergico con tutto quanto appena detto.

Poi si apre tutt’altro scenario al varcare una soglia parallela, quella della interdipendenza tra insegnanti, tra insegnanti e apprendenti e tra apprendenti. Quante reti possiamo immaginare di creare, quanti servizi, se alla base ci sono programmi credibili, un’idea condivisa di fare insegnamento, anche qui con al centro il territorio, il contesto culturale e poi protocolli di lavoro ripetibili e adattabili appunto ai contesti e soprattutto ai partecipanti.

Qui di soglia in soglia sono uscito fuori dalle nostre questioni didattiche legate al qui e ora, come si diceva un tempo. Me ne scuserai, ma di soglia in soglia anche all’interno del progetto didattico che mi occupa poi finisco per vagare di modalità in modalità, provando attrazioni verso un metodo come la Action Learning, poi brevemente per i compiti di realtà, poi il micro Learning, poi per la tua SG, che produce uno scambio essenziale, per tutti i satelliti dell’imparare facendo…

Trovo bella e necessaria l’idea di porre la questione dell’insegnante-imprenditore. I cambiamenti intervenuti e in atto nel nostro lavoro sono grandi almeno quanto quelli che hanno investito gli altri settori, ma noi non abbiamo mai avuto buona stampa Nadia, né politiche, meno ancora voce in bilancio, meno ancora l’apertura o l’abito necessari a fare sistema. La vedo così (ma quello che dico potrebbe valere anche per altri lavori): la domanda di formazione, in generale di know-how, macro e micro, si è moltiplicata a dismisura, allargata, frammentata e diffusa, esonda, un blob che ha superato confini, sistemi e istituzioni, ha coinvolto tutti nelle reti sociali e nel web, è diventata informale e naturalmente collaborativa e ha obbligato chi lavora in questo mondo a misurarsi con esigenze del tutto nuove nei progetti, negli strumenti, nei metodi, via via risalendo fino alle filosofie, per proporre conoscenze in grado di esprimersi subito in abilità e competenze. Alla frammentazione e trasmutazione della domanda ha corrisposto un tentativo di risposta dell’offerta professionale di formazione. Mi vedo come uno di questi tentativi.

Hai riassunto perfettamente il collo di bottiglia nel quale ci troviamo come liberi professionisti o imprenditori se vuoi, ma adesso: come farvi passare una offerta di formazione di valore, riconoscibile, misurabile, remunerativa e nello stesso tempo sostenibile per i suoi utenti? come rendere visibile questa offerta in un mare di altre offerte, suggestioni e possibilità? come creare economie di scala attraverso il lavoro collaborativo, la condivisione delle pratiche, la rotazione dei contenuti di engagement (parola che prendo da te)? come fare sistema, cioè come fare vera sinergia e non essere gli uni per gli altri semplici fonti di consultazione su problemi singoli e specifici, senza nessun respiro? quali servizi offrire come rete? molti predicano il verbo della “nicchia di mercato”: bisogna crearsi una nicchia - dicono - e cercare di ampliarla e mantenerla ogni giorno, un piccolo adorabile giardinetto nel quale sopravvivere, con i pochi, eventuali, incerti prodotti di un lavoro a mani nude, arando il mare o poco meno… Forse può funzionare per alcuni, per altri meno, ma è davvero quello che vogliamo continuare a fare? Lavorare come schiavi di noi stessi? Vedo le nicchie come celle e noi i prigionieri di una gabbia creata da noi stessi. Confortevole a volte, non lo nego, rassicurante, ma il lavoro individuale e isolato è immane, le economie di scala ridotte, il rapporto prezzo/valore miserrimo e, inversamente, è una montagna la ratio costi (in ore di impegno)/ ricavi, bassi o nulli i margini, a debito gli investimenti (ancora e solo lavoro e lavoro individuale, finché la forza e l’entusiasmo assistono).

La nostra attitudine non è collaborativa, non siamo ancora capaci di lavorare tra pari, dobbiamo sentirci o insegnanti o alunni, nel senso della posizione: da un lato o dall’altro delle cattedre. Nessuno ragiona più così. Divagazioni sociologizzanti.

Insomma Nadia, non vedo alternative al mettersi insieme, rinunciare alla balla del “piccolo è bello” e almeno tentare di metterci a sistema. Come? da dove si comincia?

Qualche spunto.

Torno per esempio all’engagement (ma la questione può valere per i progetti didattici, i materiali, le aule virtuali): prende molto tempo tenere aggiornati i contenuti delle pagine web, dei social ecc. e allora condividiamoli questi contenuti. Quanti di noi hanno pagine web, siti di interesse, mediateche alle quali attingono per lanciare temi nuovi e di interesse o anche solo per aggiornarsi sullo stato dell’arte o su strade  future? mettiamoli insieme, apriamo discussioni, (che poi fanno engagement forse meglio di tanti begli articoli).

Ancora sul mettersi insieme: quanti siamo, dove? Insegnante-imprenditore, hey teacher! dove sei cosa fai? una mappa degli insegnanti nel territorio, delle loro attività, delle iniziative in corso.

Creare poi un Data Base dell’offerta formativa, un vecchio pallino e una mappa della presenza di iniziative (linguistiche per esempio).

Consorziare. Per fare le cose insieme occorrono strumenti che creino relazioni: consorzio? associazione? federazione? altro?

Il tema non è nuovo, né per me, né per chi su questo ha riflettuto in questi anni, per necessità e urgenza. Circolano idee, cosa siamo disposti a fare e in che modo Nadia?

Il progetto “italiano per fare” va avanti, spero di poterlo chiudere questa settimana, mentre devo anche occuparmi della pubblicizzazione, del sito rimasto a gennaio ecc.

Chiudo per ora, attendo tue

un abbraccio

Marco



 

Caro Marco,

finalmente eccomi. Risponderò tra le righe, come mia consuetudine, ma prima mi soffermerei su una parola che per me rappresenta l'ostacolo vero da superare.

Questa parola è: diffidenza.

Varie volte ci siamo confrontati su come per noi una parte complessa del nostro mestiere consista nel far quadrare le esigenze che l'etica professionale ci impone con le esigenze di far quadrare i conti a fine mese.

E in tutto questo, la diffidenza. Quella che percepisco, a volte, negli occhi delle persone, convinte che sia difficile – se non impossibile – sposare un mestiere come quello dell’insegnante a un’attività come quella imprenditoriale. Sembra insomma che, per come è sempre stato inteso, il mestiere dell’insegnante non possa aprire le porte alla ricerca anche del profitto (dove per profitto intendo arrivare ad avere uno stipendio a fine mese).

Che anche l’assenza di politiche per la nostra categoria sia parte della diffidenza di cui parlavo sopra? Eppure in altri Paesi una figura così è normale da incontrare. Ma qui ti faccio una domanda: quel "noi" si riferisce agli insegnanti imprenditori o agli insegnanti e basta? Perché a volte ho la sensazione, non esattamente felicissima, che un po' tutto il sistema "scuola", a prescindere dalla forma che può assumere, rientri nella descrizione che fai...

Rete. Parola bellissima. Che rimane, spesso, un meraviglioso concetto teorico, perché la realtà rimanda più a una lotta per primeggiare, per accaparrarsi il cliente.

E allora no, niente nicchia. Sono completamente d'accordo, con buona pace degli esperti di marketing. Non sto vendendo un prodotto, ma una mentalità, che è veicolata da un certo numero di servizi. Questa mentalità non è per una nicchia, almeno come proposta, ma per tutti. Poi chiaramente verrà accolta e sposata da chi lo vorrà, ma no, non mi rivolgo in esclusiva a un gruppo ristretto. Parlo con tutti, dalla badante neoarrivata al top manager della multinazionale.

Èquesto il senso del mio lavoro: mostrare che la cultura, che viene veicolata tramite attività linguistiche, è bella ed è bellezza per tutti. Se mi rivolgessi a una nicchia verrebbe meno il principio cardine su cui la mia attività è nata.

A proposito della mole di impegno, ho investito l'ultimo mese e mezzo nella creazione di un team. Sono tutte persone che hanno ben chiaro che si lavora a "rischio di impresa" e mettono ciascuno secondo le proprie attitudini e competenze un pezzo che arricchisce il tutto. Da sola sarei finita schiacciata come un insetto, soprattutto ora che il lavoro aumenta.

La mancanza di attitudine collaborativa è un tema scottante, ma è proprio nella creazione di collaborazione tra diverse realtà che mi sto muovendo. È necessario muoversi con molta attenzione in questa fase, e allo stesso tempo è innegabile che là dove si riescono a creare le giuste relazioni professionali con realtà sia simili che diverse dalla nostra si raggiungono i risultati migliori.

In generale è vero quanto scrivi: non si sa neppure chi siamo, quanti siamo e su che basi lavoriamo. Cominciamo noi? Facciamo strada, dando reciproca visibilità al nostro lavoro? La mappa degli insegnanti nel territorio è un’ottima idea, ma lo vedo come lavoro immane. Io e te da soli, anche insieme intendo ma comunque noi due, non so quanto lontani possiamo andare: riflettiamo.

Lo stesso dicasi per la creazione di un database dell’offerta formativa: nella ricchezza che pure gli riconosco, davvero richiede un "aiuto" dall'alto, pena diventare un lavoro gigantesco che rischia di sovrapporsi e rallentare tutti gli altri lavori immani che portiamo avanti quotidianamente.

Consorziare. Per fare le cose insieme occorrono strumenti che creino relazioni.

Una community?
Nadia
 

 




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