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Materiale Didattico

Fare grammatica: cosa stiamo insegnando? Quale metodo scegliere?


Alcuni temi creano sempre dibattiti molto vivaci tra gli insegnanti. Tra questi, probabilmente la grammatica meriterebbe una menzione d’onore.

Il QCER ci ricorda l’importanza della competenza grammaticale, intesa come “capacità di organizzare le frasi in modo che comunichino un significato”, e sottolinea di conseguenza che “la maggior parte delle persone (non tutte, però) coinvolte nel processo di pianificazione, insegnamento e verifica prestano particolare attenzione al suo apprendimento e ne tengono conto”.[1]

Questa considerazione nasce nell’ambito della riflessione sulla competenza metalinguistica, la capacità di riflettere in modo esplicito su come funziona una lingua e “sulle proprie produzioni linguistiche”.[2]

Il focus su questi aspetti da parte dei docenti si può tradurre in modi diversi a seconda della tipologia di apprendenti presenti in aula.

Nel caso di chi lavora con profili di apprendenti debolmente o per nulla alfabetizzati in L1 (a prescindere dall’età) oppure con scarsa o nulla competenza in italiano L2, ad esempio, è consigliabile scegliere di prediligere attività pratiche e ludiche a complesse spiegazioni metalinguistiche che risultano ostiche e non aggiungono valore al processo di acquisizione di questi studenti.

All’opposto, nell’insegnamento in ambito scolastico si tende a dare ampio risalto alla riflessione metalinguistica, che viene percepita come fondamentale e talvolta arriva persino a “rubare la scena” alle altre competenze che compongono la competenza comunicativa.

Molto spesso, in ogni caso, non esiste una scelta giusta e una sbagliata, e trovo sacrosanto che ogni docente calibri le sue scelte in base all’aula, al momento, alla situazione, idealmente puntando comunque a creare bilanciamento tra i vari aspetti trattati durante un corso o nel tempo più ristretto di una singola lezione.

È interessante a questo punto conoscere come viene percepita quella che siamo abituati a chiamare grammatica, sia dai docenti che dai discenti.

Generalmente, sono possibili quattro punti di vista:

  • “Grammatica come fantasma: inspiegabile
  • Grammatica come tempio classico: costruzione perfetta senza difetti
  • Grammatica come diavolo: da tenere distante e da temere
  • Grammatica come meccanismo interno alla mente umana: LAD”[3]


Se leggendo le righe qui sopra stiamo pensando che questi quattro punti di vista diano una visione parziale della grammatica (anche l’autorevole teoria del LAD di Chomsky ha ricevuto diverse critiche, e qui sta alla scuola di pensiero di ciascuno), occorre anche tenere presente che i docenti dichiarano come, quando si tratta di grammatica, l’aspetto per loro più complesso è “presentare le regole in modo interessante e motivante (61,8%)”, e a seguire “presentare le regole in modo comprensibile (21,7%)”. Una percentuale minore di insegnanti dichiara di trovare difficoltà nel “formulare chiaramente le regole senza troppe eccezioni (16,4%)” e ancora meno, seppure qualcuno ci sia, nel “capire le regole grammaticali (0,1%)”.[4]


Eh già. La grammatica non sempre sembra essere abbastanza motivante, in sé, ed ecco che l’insegnante si trova legittimamente in difficoltà, nel momento in cui è chiamato ad affrontarla in aula. Eppure, questo contrasta nettamente con quell’urgenza di conoscere (tutti) gli aspetti (possibili e immaginabili) di ogni argomento grammaticale trattato che spesso i nostri studenti manifestano. Come una medicina amara che si sa farà bene ma il saporaccio resta in bocca per ore, sembra insomma che tutti la vogliano ma nessuno la voglia, questa grammatica. Ma è proprio così?

Probabilmente, almeno in parte, sì. Questa consapevolezza evidenzia una problematicità, che senz’altro non è irrisolvibile ma è significativa.

Molti di noi sono probabilmente cresciuti alla scuola del metodo induttivo: “Reazione al metodo grammaticale-traduttivo ed ad una concezione elitistico-normativa che spiegava prima la regola e poi chiedeva agli studenti di applicarla, l’approccio induttivo allo studio della grammatica riconosce al contrario che essa è una scienza descrittiva e che lo studente apprende meglio se è stimolato a rendere espliciti i ragionamenti di sistematizzazione della sua interlingua”.[5]

Personalmente, come ho già sottolineato in passato, condivido l’idea del Professor Balboni per cui porre in contrasto il tradizionale e il moderno risulti un po’ una forzatura, e sia più sensato invece cercare un bilanciamento tra ciò che fa parte del bagaglio del passato e ciò che caratterizza il presente. In relazione alla grammatica, questo si traduce in: “[è] utile fare uso dell’approccio induttivo, a patto però di affiancarlo anche a quello deduttivo, di non appoggiarsi passivamente ai quesiti proposti dai testi e di saper scegliere con oculatezza l’opportunità in base al fenomeno linguistico che si vuole fare studiare”.[6] In altri termini, come spiega in maniera più approfondita l’autore dell’articolo appena citato, la scelta condivisa da molti docenti e molti manuali di usare l’approccio induttivo è senza dubbio valida, e allo stesso tempo non va dimenticata, ai fini di una corretta acquisizione della competenza metalinguistica, la capacità di consultare una grammatica di riferimento in cui le regole sono presentate in maniera deduttiva, capacità che pure va sviluppata in un corso di italiano L2.

Non credo sia un caso, in questo senso, che molti manuali che scelgono di presentare la grammatica induttivamente riportano comunque una “cara vecchia” sintesi grammaticale, generalmente in appendice.

Interessante a questo proposito Italiano Plus A1-A2 (link all’opera cliccando qui), in cui mi sono imbattuta cercando un percorso per studenti universitari che dirimesse il difficile dilemma della scelta dell’ausiliare essere o avere nel passato prossimo.


 


L’unità 8 (che nel manuale è chiamata “Percorso”, come anche tutte le altre unità) partendo da una fase di motivazione e da un testo input orale guida gradualmente lo studente alla scoperta del passato prossimo (participi passati regolari prima, irregolari poi, e infine scelta dell’ausiliare), e lo fa proponendo sia momenti di riflessione individuale che momenti di confronto con altri studenti, senza dimenticare quanto ci ricorda Pierangela Diadori: “Una netta separazione tra lessico e grammatica non è possibile, ma dalla letteratura recente in varie lingue sul tema delle tecniche glottodidattiche questi due aspetti sono trattati di solito ciascuno a parte. In realtà lessico e grammatica sono intrinseci alla L2 e l’esigenza di una loro separazione nasce dall’obiettivo di facilitare e accelerare (per quanto possibile) l’apprendimento”.[7]

 



Nella sezione esercizi, la struttura dell’unità si ripete a partire da un altro testo input, proponendo una presenza più marcata di esercizi rispetto a produzioni orali e scritte e riflessioni.


In appendice, la sezione “grammatica” ripropone in modo deduttivo quanto scoperto induttivamente dallo studente durante il percorso.

A prescindere dal materiale scelto, credo che quale che sia il metodo con cui presentiamo la grammatica a lezione (e nulla esclude che, pur privilegiandone uno, a volte concediamo spazio anche all’altro), il nostro ruolo di insegnanti sia determinante, soprattutto per rendere motivante, e quindi più volentieri ingeribile, la pillola della grammatica. Per essere chiara: il manuale, anche quando fatto molto bene, difficilmente è sufficiente: la mediazione del docente è fondamentale, perché aiuta a veicolare sia i contenuti che le modalità di presentazione degli stessi, elementi niente affatto scontati. Generalmente, una presentazione fatta bene alla lavagna e un confronto aperto con gli studenti sulle domande che man mano possono sorgere dà un buon aiuto.

È infine utile ricordare un altro aspetto a mio avviso importante: quello che Claudia Matthiae definisce “conformità con il livello di competenza del discente (l’esaustività non è meno pericolosa delle lacune)”.[8]

Significa che non dobbiamo dire tutto subito.

Neanche se ce lo chiedono.

È legittimo rispondere che un aspetto estremamente specifico che può emergere dalle domande di uno studente, e che magari viene trattato nei corsi di livelli successivi esiste, e chi l’ha chiesto può già iniziare a riconoscerlo quando lo incontra, ma non è quella la sede per una trattazione esaustiva di quel dettaglio. È lecito e positivo invitare lo studente ad aspettare, a graduare lo sviluppo della sua competenza metalinguistica, a lasciare alle cose il tempo di sedimentare, di essere praticate, di non essere più semplicemente apprese ma acquisite. Molti manuali in questo sono di grande aiuto, perché ne tengono conto nella scansione del sillabo.

 

Nadia Fiamenghi

 

 

Vuoi raccontarci la tua esperienza in aula, arricchire queste considerazioni con le tue, oppure offrire nuovi spunti per la discussione? Scrivici a questo indirizzo vitadaula@loescher.it

 


[1] Consiglio d’Europa, Quadro comune europeo di riferimento per le lingue: apprendimento, insegnamento, valutazione, La Nuova Italia-Oxford (2002)

[2] //www.federica.unina.it/lettere-e-filosofia/lingua-francese-3/introduzione-oltre-la-grammatica/

[3] //www.uniba.it/docenti/cardona-mario/attivita-didattica/Grammaticaeriflessionelinguistica.ppt

[4] Ibidem

[5] //www.ildueblog.it/grammatica-induttiva/

[6] Ibidem

[7] P. Diadori, “Tecniche per l’insegnamento della L2”, in P. Diadori (a cura di) Insegnare l’italiano a stranieri, Le Monnier (2011)

[8] Claudia Matthiae, “La riflessione metalinguistica nei manuali d’italiano L2: case study”, in ItalianoLinguaDue n. 1 (2012)

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