L’italiano con i cinesi: spunti e materiali per la didattica
Grazie anche a programmi come Marco Polo e Turandot, la presenza di studenti sinofoni nelle nostre aule è sempre più numerosa, e ha nel tempo evidenziato quali sono alcuni punti chiave da tener ben presenti nella didattica a madrelingua cinesi.
Qualche giorno fa, in un forum per insegnanti, leggevo il post di una collega che chiedeva suggerimenti per l’utilizzo di un manuale efficace con studenti di origine cinese: ha infatti riscontrato che i manuali basati sull’approccio comunicativo più diffusi, pur ottimi nella loro proposta, con questa tipologia di studenti si rivela poco efficace.
In dibattiti come questi, il punto nodale pare sempre essere uno: lo studente cinese non vive efficacemente l’approccio comunicativo. Frequentemente la proposta di attività semi-guidate, libere, o anche ludiche, incontra la frustrazione di docente e allievo: il primo coglie il silenzio del secondo, che a sua volta non riscontra utilità in un lavoro proposto in quelle modalità.
Non è solo una questione di scelta delle tecniche, ma un più profondo dato culturale, che mette in gioco sia ciò che lo studente percepisce come “imparare una lingua”, sia quello che l’insegnante percepisce come “insegnare una lingua”, oltre a ciò che rientra nella definizione stessa di insegnante e studente per l’uno e per l’altro.
La tradizione didattica cinese vede al centro attività di ripetizione e memorizzazione, nella convinzione che, con un adeguato impegno, chiunque può imparare una lingua. Così viene insegnata la lingua cinese ai bambini, e l’insegnamento di una seconda lingua poco si discosta da questo.
Per toccare con mano ciò di cui stiamo parlando, credo possa essere utile guardare questo breve video che mostra alcuni momenti di una lezione di inglese (quindi di una lingua straniera) in una scuola cinese: anche se non parlate inglese, sarà immediato riconoscere le varie fasi della lezione, a cui presenziano 50 studenti: //bit.ly/2UuyhMp
In una manciata di secondi, dopo aver salutato e aver invitato gli studenti a sedersi, l’insegnante anticipa i contenuti della lezione, per poi avviare la lettura, eseguita singolarmente, ad alta voce e in piedi, di alcuni brani dal tema “raccontare le proprie esperienze”. Nel video non si vede chiaramente, ma si intuisce che dopo la lettura di ciascun estratto l’insegnante ne spiega i contenuti, presumibilmente grammaticali e lessicali. Chiede poi di reimpiegare le strutture dapprima in coppie, poi alcuni studenti raccontano alla classe la propria esperienza singolarmente, sempre alzandosi in piedi.
Ho letto i commenti postati dagli utenti sotto il video. Il primo, molto significativo, scritto da uno studente cinese, afferma che in una classe di inglese in Cina quelle attività vengono svolte normalmente come si vede nel video, lavoro di gruppo incluso, “sebbene alcuni studenti possano non prenderlo seriamente”.
Un altro commento, più sotto, è di una persona che ha studiato in Cina i primi anni, in classi molto numerose, e poi si è trasferita negli Stati Uniti, trovando classi più piccole “per me è stato uno shock partire da classi con 60-70 studenti e arrivare in classi di 23”, dice.
In un articolo, un insegnante che insegna nelle scuole medie e nelle università cinesi racconta che “una lezione di inglese tipica con un insegnante cinese comprende una lista di 30-40 parole nuove, la lettura di dialoghi e l’ascolto dell’insegnante che spiega 4-5 regole grammaticali (questa parte normalmente è in cinese). Durante la maggior parte della lezione, gli studenti o leggono insieme all’insegnante, oppure scarabocchiano appunti a margine dei loro libri di testo”. [1] Chi scrive l’articolo specifica che ci sono alcune scuole eccellenti dove la didattica è molto diversa da questa descrizione, ma resta il fatto che questo sistema è consolidato in oltre il 90% delle scuole cinesi.
Al di là delle discussioni sull’efficacia o meno di questi metodi, è interessante capire cosa possiamo fare noi, come insegnanti di italiano L2, quando abbiamo studenti cinesi in classe. Perché se è vero che molte sono le ragioni per cui il numero di abbandoni dei percorsi di studio in italiano da parte di studenti cinesi è alto, è altrettanto vero che il motivo principale è “la frustrazione per gli scarsi risultati raggiunti o la mancanza di motivazione necessaria a portare avanti il loro progetto di vita in un Paese straniero, lontano da casa”. [2]
Quindi, il fatto di non riscontrare efficacia nel percorso di studi pur impegnandosi al massimo, perché abituati a un sistema diverso, insieme al fatto di essere cresciuti con l’idea di dover sempre dimostrare di essere in grado di rispondere alle richieste, provoca negli studenti cinesi “un forte stato di ansia e depressione”. [3]
Tra le attività percepite come maggiormente ansiogene dagli studenti sinofoni ci sono la comprensione e la produzione orale, mentre tra quelle che maggiormente li fanno sentire a loro agio figurano gli esercizi strutturali.
È dunque necessario proporre un passaggio graduale verso l’approccio comunicativo, che sia dunque rassicurante ed eviti lo shock che chiunque vivrebbe saltando a un sistema completamente diverso da quello a cui è abituato.
È molto interessante, a questo punto, osservare il manuale Sempre più italiano – B1 (link alla scheda dell’opera qui: //bit.ly/2WCb7kr ), che si rivolge a studenti e lavoratori cinesi in Italia, oltre che a chi intende prepararsi a una certificazione per il livello B1.
Tenendo presente che anche il libro, come l’insegnante, sono investiti da un fortissimo principi di autorità nella cultura cinese, perché questo manuale è significativo?
Anzitutto, perché il manuale nasce dichiaratamente per rendere più semplici le cose agli insegnanti che lavorano con apprendenti con questo profilo. Parlando con una collega qualche tempo fa, lei sottolineava come un valore aggiunto dei manuali che sceglie sia secondo lei questo: “È bello usare un testo che ha in mente il pubblico a cui si rivolge”. E il pubblico di un manuale di lingua è quasi sempre formato da due parti: studenti e insegnanti.
Poi perché, posto che ha come obiettivo il raggiungimento del livello B1, il manuale mantiene le consegne in italiano e in cinese, in modo costante nelle prime unità e poi diminuendo a partire dall’unità 9: non tradotte letteralmente, ci ricordano le autrici, ma riadattate tenendo bene in mente lo studente che poi le deve svolgere. Scrivevo nello scorso articolo come l’uso della L1 o di una lingua veicolare in classe, a lungo scoraggiati da vari approcci e metodi, stiano vivendo una fase di “riscoperta”, perché si riconosce come, in alcune circostanze, lungi dall’attaccare il prestigio e la serietà della proposta formativa, la rendano più accessibile a coloro per cui quella stessa proposta è pensata: gli studenti. Credo che questo sia uno di quei casi. Una delle osservazioni che vengono fatte più spesso sull’uso della L1 in aula è che non dovrebbe essere usata, ma se proprio si deve, che sia solo in fase iniziale, ben prima di aver completato il livello A1.
In questo manuale invece non solo si autorizza, mantenendolo nei limiti dell’utile e dell’efficace, l’utilizzo della L1, ma lo si ufficializza anche, e non con i principianti assoluti ma con studenti che si apprestano a raggiungere il livello soglia.
Il cinese è mantenuto anche nelle pagine di sintesi grammaticale al termine di ciascuna unità, pagine che sono affiancate a quelle del glossario italiano-cinese: è dunque molto chiaro come il manuale punti allo sviluppo dell’approccio comunicativo, ma non in modo improvviso e disorientante, quanto piuttosto mantenendo punti di ancoraggio al sistema scolastico di provenienza dello studente (ricordiamo le spiegazioni grammaticali fornite in cinese dall’insegnante, menzionate sopra).
Nelle pagine delle unità la grammatica è invece spiegata in italiano, in modo però chiaro ed esplicito: anche di questo ho scritto qualche tempo fa, sostenendo come io stessa, che prediligo decisamente l’approccio induttivo, qualche volta ricorro al deduttivo perché, semplicemente, permette di raggiungere meglio e prima gli obiettivi. Ecco un esempio tratto dalla prima unità del testo:
Si nota, da questo piccolo estratto, un altro aspetto importante: l’uso delle icone. Un rimando efficace a cosa lo studente è chiamato a fare in ogni parte della pagina.
Si diceva che la comprensione e la produzione orale rappresentano i due scogli maggiori per gli studenti sinofoni: ecco allora che i testi input, che riproducono situazioni autentiche, sono dapprima semplificati, e poi, col procedere delle unità, aumentano in complessità.
E in tutto questo, viene valorizzato anche il confronto culturale, in diverse sezioni del libro oltre che in pillole chiamate “Cultura italiana e curiosità”.
Insomma, dire che fare lezione attenendosi all’approccio comunicativo con studenti cinesi è impossibile è falso. Più vero è affermare che è possibile guidare a un passaggio graduale verso questo approccio, facendo attenzione al proprio modo di porsi in aula, scegliendo testi pensati per questo tipo di utenza, e proponendo attività integrative efficaci per i nostri studenti (la guida per l’insegnante è ricca di proposte in questo senso).
Nei corsi Marco Polo che ho tenuto funzionava benissimo, a integrazione del percorso del manuale, leggere un testo di narrativa graduata. Durante una lezione si introduceva l’argomento del nuovo capitolo, la cui lettura veniva assegnata come lavoro da svolgere autonomamente per la settimana successiva. In aula, partendo da quel capitolo, si proponevano esercizi di lettura ad alta voce per focalizzarsi su particolari aspetti della pronuncia, attività di comprensione, esercizi per il rinforzo del vocabolario, attività di confronto culturale, revisioni e approfondimenti grammaticali e tutto ciò che la lettura faceva emergere. Al termine, la domanda di rito, per favorire sia la produzione orale che la formulazione di ipotesi e previsioni: secondo voi, cosa accadrà ora? Questo apriva anche le porte per la conversazione la settimana successiva, perché si partiva proprio dal verificare se le ipotesi fatte fossero corrette.
Anche qui, credo che il successo della formula consistesse proprio nel connubio tra attività più “ripetitive” (la lettura ad alta voce, gli esercizi di pronuncia e vocabolario, la grammatica…) e altre più “creative” (il confronto culturale, la formulazione di ipotesi…).
C’è una citazione che propongo spesso nelle mie formazioni, e volentieri qui la riprendo, perché la trovo davvero pertinente. È una frase attribuita ad Albert Eistein, e recita: “Ognuno è un genio. Ma se si giudica un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi sugli alberi, lui passerà tutta la sua vita a credersi stupido”.
E voi? Avete lavorato o lavorate con studenti di origine cinese? Quali sono le attività che funzionano meglio e perché?
Nadia Fiamenghi
[1] //bit.ly/2IaxgCD
[2] A. Dente, M. Fumagalli, Wang Jing, Sempre più italiano – B1 – Risorse per l’insegnante, Torino:Loescher, 2018
[3] Ibidem