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Materiale Didattico

La classe è un gioco serissimo


“Solo le persone mature possono esprimere liberamente il bambino che tutti abbiamo dentro. Tra gli animali sulla Terra, l’uomo è l’unico che relega – almeno apparentemente – la parte ludica della sua esistenza in un periodo limitato della vita, quello dell’infanzia. Tutti gli altri esseri seguitano a dedicare una parte del loro tempo al gioco, fino alla morte. Chi coabita con un cane o con un gatto lo sa bene.” (Giancarlo Berardi, sceneggiatore di fumetti)



Parte prima. Da qualche mese tengo un corso semi-individuale di italiano L2. Studenti piacevolissimi, motivazione alta, obiettivi ben chiari e ben definiti. Scelgo i materiali migliori, quelli che offrono tutto, ma davvero tutto, ciò che uno studente può desiderare: testi input autentici, grammatica spiegata induttivamente, chiara e con apparato di esercizi ricco e vario, task, quiz e molto altro. Eppure, niente sembra coinvolgerli davvero. Intendiamoci: partecipano attivamente alle lezioni, fanno domande, sono curiosi, impiegano le strutture che vediamo insieme nella vita di tutti i giorni. Ma segnalano spesso che manca qualcosa, e ho dedicato molte energie negli ultimi tempi a capire cosa, per provare a colmare quel vuoto.

Due giorni fa, a pochi passi dal luogo della lezione e con una serie di attività già programmate per quell’incontro, l’illuminazione. Appena arrivata, mi sono fatta dare dei post-it (non li avevo con me, proprio perché avevo pensato di fare altro), una parola su ciascun post-it ho scritto gli articoli determinativi, i nomi delle stanze della casa – chiedendo loro di dirmi quali sono perché li avevamo introdotti durante la lezione precedente – e una serie di aggettivi alla forma base del maschile singolare: alcuni li conoscevano già, altri li ho proposti come lessico nuovo in quell’occasione. Su un altro post-it ho scritto È, cioè il verbo essere all’indicativo presente, terza persona singolare. Ho chiesto loro di comporre quante più frasi possibile, rispettando la concordanza del gruppo nominale. Nel prendere parti di frasi e costruire sempre qualcosa di nuovo, erano molto coinvolti e, al termine dell’attività, mi hanno fatto presente quanto gli sia piaciuta. I due corsisti protagonisti di questa storia sono un top manager e un’infermiera, marito e moglie, entrambi cinquantenni.

Parte seconda. Chi non ama i quiz? Ricordo che, quando abitavo ancora in casa dei miei genitori, i quiz televisivi della sera erano una divertente occasione per mettere alla prova le nostre conoscenze, e tra noi nascevano vere e proprie sfide, che finivano sempre con un gran divertimento. Perché non trasportare questa bella atmosfera in aula? Ci sono molti programmi gratuiti online per la creazione di quiz. Recentemente, la cara collega Luisa Fumagalli mi ha fatto conoscere Kahoot, che permette di creare facilmente quiz su ogni argomento si voglia, per consentire poi ai partecipanti al gioco di sfidarsi online. In particolare, abbiamo utilizzato questa formula in contesto universitario, chiedendo a un gruppo di studenti di preparare le domande (e le risposte), che poi sono state proposte durante una festa. La grafica accattivante, il ritmo serrato del gioco, il coinvolgimento degli studenti in tutte le fasi dell’attività e l’utilizzo di nuove tecnologie ha decretato il successo della proposta.



Mettiamoci in gioco. Ho raccontato due dei tanti episodi d’aula che mi sono accaduti in prima persona, e ho scelto i più recenti non perché più significativi di altri ma perché molto freschi nella memoria. Fin dai tempi degli studi mi occupo di didattica ludica con classi di adulti, il relatore della mia tesi di master è stato Fabio Caon (non ha bisogno di presentazioni, direi J ), ed è grazie a lui che ho capito perché un principio che avevo nella mente in forma nebulosa in realtà è supportato dalla scienza. La scienza dell’uomo, prima ancora che la didattica.

Torniamo alle parole di Berardi. Gli adulti e il gioco. Esistono contesti in cui gli adulti giocano, in realtà. Mi vengono in mente le infinite partite a carte che mia nonna giocava con i suoi amici al “paesello”, il piccolo centro di collina dove è nata e dove, insieme a lei e al nonno, trascorrevo le vacanze estive. Giocavano a un gioco chiamato Cücch, nessuno è mai stato in grado di spiegarmi le regole (secondo me non hanno voluto farlo ;-) ), e le sfide serali accompagnate da discussioni sulla vita e sul mondo in dialetto bergamasco avevano come risultato principale che il legame tra i giocatori si cementava sempre di più, al punto che quando l’età anziana si è portata via la prima del gruppo, l’atmosfera non è stata più la stessa, nonostante il rito sia stato mantenuto. Il gioco è insomma un collante formidabile, perché nel lavorare per uno scopo comune tutte le forme di conflittualità si annullano.

In aula, è necessario chiarire il ruolo di ciascuno, e fare in modo, soprattutto con gli adolescenti o con le classi dove ci sono adulti che vivono un qualche conflitto tra loro, esplicitare bene gli obiettivi, e fare in modo che, oltre al proprio compito personale, tutti vedano chiaramente il senso della loro azione per il successo del gruppo.

Il gioco come strumento per conoscere il mondo, poi. Probabilmente, in aula, in molti abbiamo scelto attività ludiche per il defaticamento, qualcosa di facile e veloce da proporre a fine lezione, magari non necessariamente collegato al resto. Penso al re dei giochi d’aula, l’impiccato, sempre divertente e, se proposto contestualizzato, molto efficace (per esempio, delimitando la scelta delle parole a una determinata area semantica), ma a volte purtroppo declassato a riempitivo, e percepito come tale sia dagli studenti che dall’insegnante.

Ma se si trattasse anche, per renderlo davvero efficace, di usare il gioco per l’ “affaticamento”, cioè per stimolare e attivare l’acquisizione di conoscenze e competenze? In questi anni, ho capito che le proposte ludiche funzionano in qualsiasi momento le si propongano, purché ovviamente siano, come dicevo, contestualizzate. Se ragioniamo in termini di sei fasi dell’unità didattica (motivazione, globalità, analisi, sintesi, riflessione, verifica), il gioco può essere inserito sempre. Anche in verifica, sì, con i dovuti accorgimenti, e di questo parleremo presto.

Perché? Perché come ci insegna M. Csickszentmihalyi le persone ottengono i risultati migliori quando raggiungono lo stato del flow, quando sono, letteralmente, trasportati da ciò che stanno facendo.

Brevemente, il flow secondo Csickszentmihalyi si raggiunge quando la persona percepisce il compito che gli è affidato come adeguatamente stimolante, e allo stesso tempo alla sua portata, cioè non troppo difficile. A quel punto, non ci sarà sforzo che faccia desistere il soggetto dal raggiungere il suo obiettivo: Csickszentmihalyi cita, tra gli altri, i nuotatori, che pur in una fatica enorme, con un gran male ai muscoli e il fiato corto, nuotano. Sono talmente dentro le bracciate, dentro a quello che stanno facendo e al risultato che vogliono ottenere – sì, perché uno dei principi che danno vita al flow è la chiarezza dell’obiettivo, sapere dove sto andando – che il dolore e la fatica passano in secondo piano. Ma, attenzione, senza quella fatica il flow non potrebbe esistere.

Tra le risorse online disponibili sul portale Loescher (//italianoperstranieri.loescher.it/) si trovano tra le altre anche molte attività ludiche, per tutti i  livelli. E il bello del gioco è che, se lo si sceglie abitualmente, può anche essere improvvisato con pochissimi materiali, come mi ha insegnato la vicenda dei post-it che ho narrato in apertura.

Il discorso è molto ampio, ne ho raccontata oggi un’introduzione generale che va senz’altro approfondita. Molti insegnanti che incontro mi chiedono spesso come si può portare qualcosa di nuovo e comunque efficace in aula. Tra le tante possibilità, la didattica ludica è, a mio avviso, uno strumento ricco e sempre sfruttabile. Purché, come dicevo, non ci si limiti a relegarla a momento di relax in chiusura delle lezioni: quello, probabilmente, è un modo di toglierle gran parte della sua efficacia.


Nadia Fiamenghi

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