Motivo, azione!
Motivazione significa, come già mostra la parola, motivo per agire.
La didattica delle lingue negli anni si è sempre più occupata dell’aspetto motivazionale nell’acquisizione linguistica, arrivando a dargli un ruolo di primaria importanza: nella scansione dell’unità didattica, la prima fase è proprio quella della motivazione, e ha lo scopo di anticipare i contenuti dell’UD, oltre che di stimolare le conoscenze pregresse dello studente.
Resta, importantissima, la seconda metà della parola motivazione, cioè la vera e propria azione. Anche in questo caso, è ormai assodato che l’apprendente di una L2 o di una LS è a tutti gli effetti un attore, un protagonista, qualcuno che fa, e infatti è anche lo stesso QCER (Quadro Comune Europeo di Riferimento per le Lingue) a dichiararlo.
Insomma, fino a questo punto, in linea di massima, i docenti di italiano L2 si trovano in accordo.
Rimane tuttavia in sospeso un altro aspetto fondamentale: il mantenimento della motivazione. La chiamata all’azione, la richiesta di mettersi in gioco, infatti non può e non deve limitarsi alla prima parte dell’UD (che normalmente coincide con i primi 15-20 minuti di una lezione, e poi cosa succede nel resto del tempo, oppure se non è sufficiente una lezione a concludere l’UD?), ma deve essere riproposta costantemente, per far sì che il coinvolgimento vada oltre l’essere un felice momento di “apertura delle danze” ma diventi la cifra di tutto il percorso, qualunque siano i contenuti proposti.
Come è possibile raggiungere questo obiettivo? E anche, di che tipo di motivazione stiamo parlando?
Esuleremo per un momento dagli studi di glottodidattica per farci aiutare a trovare una risposta nelle parole di Mihaly Csikszentmihalyi, psicologo ungherese-americano che ha elaborato e applicato in diversi campi del quotidiano la teoria del flow. Csikszentmihalyi ha anche analizzato la motivazione, distinguendola in due tipologie: estrinseca ed intrinseca. La motivazione estrinseca è quella che viene dall’esterno, e include ad esempio studiare per passare l’esame, perché così si fa bella figura con i compagni e gli insegnanti, per evitare di far arrabbiare i membri della propria famiglia in caso di insuccesso… La motivazione intrinseca invece è quella che viene dall’interno, è la ricerca continua di nuove sfide, guidata dall’interesse e dal piacere nel compito in quanto tale ed esistente nell’individuo piuttosto che derivante da pressioni esterne o dalla ricerca di riconoscimenti. Importantissimo quindi ricordare che la motivazione intrinseca esula da qualsiasi riconoscimento: si fa per il piacere di fare, perché ci coinvolge completamente. Nient’altro, eppure qui c’è tutto. Csikszentmihalyi sottolinea come favorire la motivazione intrinseca determini il successo scolastico/del percorso di studi [1].
Credo che, in aula, ci siano due modi per creare motivazione intrinseca.
Il primo è proprio nella proposta di attività, scegliendo task dove l’insegnante scende dalla cattedra (anche fisicamente, girando tra i banchi ogni volta che è possibile) per trasformarsi da detentore unico del sapere a regista delle attività, che comunque sono agite e, per mantenere la metafora cinematografica, “recitate”, dagli apprendenti. In concreto, l’insegnante esplicita gli obiettivi dell’attività, che devono essere chiari e condivisi, fornisce alcuni materiali e poi consente a ciascuno studente di vivere quell’attività personalizzandola. A titolo di esempio, tutte le attività di produzione libera o semi-guidata, orale o scritta, si muovono in quella direzione.
Sappiamo anche che l’aula è una realtà complessa, e la motivazione, pur essendo fondamentale come si diceva, è molto difficile da misurare oggettivamente. Può essere però rispecchiata dal grado e dal tipo di coinvolgimento: se lo studente si mostra apatico e con gli occhi scorre tutti i confini disegnati sulla cartina appesa al muro, ci sono buone probabilità che la sua motivazione sia bassa (grado del coinvolgimento), e lo stesso si può dire se l’allievo si attiva solo in situazioni che prevedono una sfida con altri e una vittoria a scapito dei compagni (tipo di coinvolgimento).
Non solo. Insegnare nel 2018 non è come insegnare nel 1986 (anno in cui ho iniziato la prima elementare, all’epoca si chiamava così). Al di là delle riflessioni sulle modificazioni al tessuto sociale, e alle conseguenti ridefinizioni del ruolo e delle aspettative che si hanno verso l’insegnante come rappresentante dell’istituzione “scuola” (a tutti i livelli), riflessioni senza dubbio preziose ma che è utile qui rimandare ad un’altra sede, le tecniche di insegnamento e di apprendimento sono cambiate. Ad oggi, esiste una vastissima possibilità di accedere a strumenti multimediali che io da bambina non avevo neppure l’ardire di immaginare. In questo contesto mutevole, come si può, da insegnanti, stare al passo senza rinnegare tutto ciò che è parte del nostro bagaglio?
Trovo che una bella risposta venga dal Prof. Balboni (credo di non essere l’unica, qui, ad essermi formata da insegnante studiando molti suoi testi, dico bene? ;-) ).
Nell’introduzione al suo nuovo corso comunicativo di italiano per stranieri, il Balboni A-UNO (scheda catalogo accessibile a questo link: //www.loescher.it/dettaglio/opera/o_b2688/il-balboni?search&st=cat , disponibili i livelli fino a B2), esordisce con una frase che non solo mette d’accordo dibattiti talvolta più che vivaci che vorrebbero contrapporre in didattica tradizione e modernità, ma fornisce una chiave di lettura applicabile anche oltre l’aula:
“L’ipotesi fondante [del manuale] è che le “mode” glottodidattiche, che contrappongono “vecchio” a “nuovo”, siano un danno per la didattica. Questo manuale è a. innovativo […] b. tradizionale”.
Ecco, nella cura delle soggettività di insegnanti e studenti coinvolti, nell’attenzione alla storia e alla cultura personale di ogni studente, esiste una possibilità scientifica di trovare strumenti che mettano in accordo le parti, abbracciando le novità senza tuttavia scacciare tutto ciò che è nella nostra formazione come docenti.
Ecco allora che, sempre a titolo di esempio, vorrei citare tre momenti, uno di tradizione, uno di innovazione, e uno di tradizione innovativa, che si trovano nel manuale.
La tradizione: nella fase di sintesi delle unità, viene proposto un esercizio che recita: “A casa, copia il dialogo: non è un esercizio per bambini, è molto utile!
Il riferimento è il testo input dell’unità, chiaramente. Da anni io stessa propongo questo ai miei studenti, trascrivere, senza assegnarlo come compito perché nel mio caso si tratta di corsisti adulti, ma spiegando che lo faccio perché, durante gli anni della scuola media, era la mia insegnante di inglese ad assegnarci la copiatura dei dialoghi come esercizio a casa. Sembrava un lavoro noioso e ripetitivo, eppure contribuiva decisamente allo sviluppo della motivazione intrinseca. Copiatura dopo copiatura, apprezzavo il fatto che il lavoro diventava sempre più veloce, ricordavo come si scrivevano le parole, e mi sfidavo (da sola, cioè sfidavo il mio miglioramento) a ricordare le battute del dialogo per poterlo scrivere in autonomia. Il risultato è che molti di quei dialoghi li ricordo ancora oggi, 25 anni dopo, e naturalmente ricordo il lessico e le strutture che ho imparato facendo quel tipo di lavoro. I miei studenti che trovano il tempo di dedicarsi a questo esercizio, decisamente tradizionale, riscontrano gli stessi benefici.
L‘innovazione: il manuale è completamente scaricabile anche nella versione digitale. Questo significa che tutte le attività proposte possono essere svolte (o svolte di nuovo) utilizzando uno degli strumenti che, di questi tempi, creano coinvolgimento per eccellenza: il pc. Si possono fare un sacco di cose, sul manuale digitale: aggiungere note, sottolineare frasi, disegnare forme, riascoltare le tracce audio, aggiungere link ad altre pagine web… tutto questo per un’acquisizione che, nella fase di lavoro individuale dove manca l’interazione con docente e/o compagni, sia comunque stimolante e, a tratti, anche divertente. Si può vedere nella schermata qui sotto la vasta gamma di possibilità date dal manuale digitale.
La tradizione innovativa: il file, scaricabile, “costruisci la tua grammatica” si propone come strumento per fornire allo studente tutti gli elementi grammaticali di cui ha bisogno. Sappiamo quanto questo sia importante, quanto la grammatica sia spesso una richiesta dei nostri studenti, e quanto a volte venga addirittura scambiata per l’obiettivo, quando in realtà è uno strumento per raggiungere obiettivi, come ho già avuto modo di affermare. L’innovazione è proprio la richiesta all’apprendente di costruire da sé la propria grammatica, cioè a trovare il motivo per l’azione nell’azione stessa. Dati gli argomenti principali, che servono da guida per non dimenticare nulla, la compilazione è completamente libera e personalizzabile, e lo studente può immediatamente verificare quanto ricorda, quanto sa già usare e quanto invece ha ancora bisogno di rinforzo.
In conclusione, per far nascere e soprattutto mantenere la motivazione intrinseca, chiave di riuscita fondamentale dei percorsi di acquisizione linguistica, è importante unire l’attenzione alle persone, ai loro stili, alle loro esigenze (elemento umano) alla scelta di attività varie, che stimolino diverse abilità e mettano in gioco diverse competenze, mantenendo le nostre radici ben salde nel terreno e allo stesso tempo aprendo i rami a tutto ciò che c’è di nuovo. È un lavoro complesso, ma per esperienza so che la ricerca costante di nuove strade e di nuovi modi per unire i vari pezzi del complesso puzzle della glottodidattica, ha risultati straordinari: oltra a quella dello studente, sarà anche la motivazione intrinseca dell’insegnante a giovare di un percorso impostato così.
Nadia Fiamenghi
[1]Il manuale di riferimento è Mihaly Csikszentmihalyi, Applications of Flow in Human Development and Education, Springer 2014