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Materiale Didattico

Usare o non usare la L1 o una lingua veicolare nella classe di italiano L2?


Negli anni, pur insegnando a studenti di tutti i livelli, mi sono specializzata nell’insegnamento dell’italiano L2 a studenti dal principiante assoluto all’A2, quindi i livelli comunemente definiti “bassi”. Questo in vari contesti e con persone di diverse età.

Quando inizio i corsi con i principianti assoluti, cioè persone che non conoscono neanche una parola di italiano, spesso la richiesta che mi fanno è utilizzare una lingua veicolare (di solito l’inglese, talvolta il francese) per le parti di spiegazione, perché altrimenti sono convinti di non capire. Generalmente ma non sempre e non a prescindere, preferisco evitare l’utilizzo della lingua veicolare in classe, anche perché non sempre esiste una lingua veicolare comune a tutti: insegnare a una classe universitaria è diverso dall’insegnare a un gruppo di operai poco scolarizzati in contesto aziendale, per esempio.

Allo stesso tempo, permetto l’uso di una lingua veicolare o della L1 tra gli studenti, quando tra loro vogliono supportare un compagno che non ha capito qualcosa, o magari vogliono semplicemente accertarsi di aver tutti capito la stessa cosa. È interessante notare che generalmente, anche quando in aula parliamo tutti l’inglese, e anche se il livello di italiano degli studenti è “alto”, dal B1 in poi, la lingua che loro usano per questo tipo di comunicazioni non è l’inglese, ma la loro L1. Come a ricordarci che in didattica le cose, per essere digerite, devono passare dal cuore e dalla familiarità.

Ma sapevate che questo tema, lungi dall’essere una mera disquisizione tra di noi, ha forti ripercussioni anche sulla percezione che l’insegnante ha di sé e della propria professionalità?

Philip Haines ha evidenziato come un docente su tre si senta colpevole se i suoi studenti usano la L1 in classe. [1] Questo dato, così come è, porta con sé un retropensiero piuttosto forte: sentirsi colpevoli non è solo ritenere di poter fare meglio, ma implica uno spostamento del giudizio dall’azione svolta alla nostra persona, in questo caso al nostro essere insegnanti. Uno su tre tra noi pensa di essere un insegnante non del tutto adeguato se i suoi studenti usano la L1 in classe. Non oso immaginare cosa accade quando è l’insegnante stesso a usare una lingua veicolare in aula.

Ma davvero usare, o permettere di usare, la L1 in aula ci trasforma in cattivi (o meno buoni) insegnanti?

Al netto dell’enorme soddisfazione di quando riusciamo a spiegare un concetto complesso a un principiante assoluto utilizzando solo l’italiano L2, e al netto dell’enorme soddisfazione dello studente che riesce a comprendere un concetto complesso spiegato solo in italiano L2 e agire di conseguenza (è il caso, ad esempio, delle consegne che richiedono di svolgere più compiti insieme o in sequenza, che rappresentano sempre una sfida per gli studenti), NO.

Vediamo di capire perché, riferendoci a una letteratura che non dà al momento indicazioni nette, proprio perché in questa fase si pone in logica di problematizzazione e di dibattito, alla ricerca della via migliore.

Tra le ragioni a favore di un utilizzo esclusivo della L2, possiamo ricordare “il riferimento all'acquisizione naturale della lingua, che implica l'idea di poter assimilare l'acquisizione della lingua straniera all'acquisizione della L1; la necessità di usare bene di un tempo limitato come quello scolastico per l'esposizione alla L2 e di ottenere la massima sollecitazione dell'apprendente; l'idea della separazione cognitiva tra L1 e L2 necessaria per evitare interferenze e rischi di mediazione attraverso la L1”. [2]

Questa posizione ha radici storiche ben salde, infatti

“[p]er tutto il secolo XX si è creduto che il contatto con la lingua obiettivo fosse il miglior modo di insegnare e imparare una nuova lingua. Questa convinzione, tanto ovvia quanto vera, aveva però in un certo modo bandito la L1 dalle classi. Per molto tempo l’uso della L1 degli studenti veniva scoraggiato persino nei casi in cui studenti e insegnanti erano parlanti della stessa lingua. Il risultato era allontanare la lezione di lingua straniera dalla realtà del contesto in cui avveniva e impedire a insegnanti e alunni di trovare dei punti di appoggio che potevano aiutarli nell’arduo compito dell’apprendimento. Questa posizione era stata rafforzata anche dalle teorie di Krashen (1982) in cui si difendeva l’importanza dell’input che lo studente riceve in lingua straniera”. [3]

Oltre a queste considerazioni, direttamente riferibili alla didattica, esistono alcune ricadute per cui si sceglie di evitare la L1 nella classe di lingua, che hanno a che fare con la percezione della professionalità dell’insegnante e della serietà del percorso proposto e dell’istituzione scolastica che la propone, e che Haines riassume così:

-        Prestigio della scuola. Le scuole che utilizzano esclusivamente la L2 nella classe di lingua sono considerate migliori.

-        Paura che la L1 prenda il sopravvento. L’insegnante teme di perdere il controllo della classe e che gli studenti diventino “pigri”.

-        Credenze personali/culturali sull’acquisizione linguistica. Le persone pensano che due lingue, usate contemporaneamente, interferiranno e intralceranno il processo di acquisizione. [4]

Eppure, in questo quadro, già dagli anni ’90 si è mosso qualcosa, che ha fatto percepire la L1 come possibile strumento di mediazione verso la lingua straniera.

L’uso della L1 da parte dell’insegnante non è più un momento di minore efficacia della formazione linguistica, ma “viene definito come un caso specifico di code-switching, che può assumere diverse funzioni”. [5]

Tra queste, “rappresenta principalmente una tecnica di facilitazione dell'apprendimento, con una funzione di rinforzo nella spiegazione e di controllo della comprensione o una funzione metalinguistica”. [6]

Questo uso deve essere limitato, per evitare di creare atteggiamenti di passività degli studenti rispetto alla L2. Ma limitato non significa escluso.

I vantaggi dell’apertura all’uso della L1 da parte degli studenti elencati da Haines sono i seguenti:

-  Migliora l’acquisizione. Quando agli studenti è permesso usare la loro lingua come strumento cognitivo, imparano meglio.

-  Crea coinvolgimento e motivazione. Gli studenti possono essere maggiormente coinvolti nell’acquisizione e sviluppano una maggiore motivazione.

-  Nutre il benessere. Gli studenti sviluppano un benessere sociale ed emozionale maggiore.

-  Gli insegnanti identificano i bisogni linguistici. Gli insegnanti possono identificare frasi e strutture di cui gli studenti hanno bisogno per svolgere compiti assegnati in classe. [7]

Quindi, il senso di colpa di fronte a qualche utilizzo da parte nostra o dei nostri studenti della L1 o di una lingua veicolare non è un gesto colpevole o di mancanza, quando consapevolmente trasformato in strumento.

Per operare questa trasformazione, Haines sottolinea un punto importantissimo: “dobbiamo essere informati”. [8] Dobbiamo, questo sì è un dovere, leggere, approfondire, confrontarci, capire quale uso della L1 e della lingua veicolare può essere utile e quale deleterio o inutile. Dobbiamo anche, aggiungo io, osservare la classe, le persone che la compongono, e fare in modo che, se accade, l’utilizzo della L1 possa diventare un vero momento di sviluppo del benessere dei nostri studenti.

Due situazioni
Racconto qui due episodi che mi sono capitati recentemente. Nel primo ho usato io l’inglese come lingua veicolare, nel secondo non essendoci una L1 o una lingua veicolare comune, gli attori dell’utilizzo della L1 sono gli studenti.

1. Classe di studenti universitari, principianti assoluti, prima lezione. Dopo meno di cinque minuti in classe, in cui ho detto “buongiorno” e ho iniziato a chiedere i nomi agli studenti per compilare il registro, guardando ciascuno negli occhi e dicendo “il tuo nome?”, richiesta a cui tutti sono stati immediatamente in grado di rispondere, si alza una voce che in preda a evidente agitazione dice in inglese “io penso che dovresti parlare in inglese perché così noi possiamo capire meglio l’italiano, visto che non l’abbiamo mai studiato e…”. Guardo la persona che parla e la invito a fermarsi un momento, poi in inglese rispondo, con calma e sempre tenendo gli occhi nei miei “non preoccuparti, questo è il mio lavoro. Se sono qui è perché so come farlo. Comunque, tu potrai fermarmi ogni volta che qualcosa non ti è chiaro e io ripeterò, senza problemi, cercando le parole giuste fino a quando le troveremo insieme. Potremo accelerare e rallentare, e fare tutto ciò che serve perché tu possa capire al meglio”. Da quel momento non è più servito che dicessi una sola parola in inglese, pur non escludendo a priori di farlo in futuro se dovessi ritenerlo necessario. Non ho sottolineato per caso, all’inizio, che sapevo quello che stavo facendo, e non certo per vantare chissà quali mirabolanti competenze: credo piuttosto che evidenziarlo sia un punto importante, seppure non sempre farlo sortisca effetti positivi come in questo caso. Sono certa che a parlare nella studentessa in quell’occasione sia stata una componente di ansia, e non un tentativo di mancanza di rispetto: per questo credo che mostrare come quell’ansia fosse quantomeno prematura fosse doveroso. Altrettanto fondamentale è raccontare che “it takes two to tango”, come recita un proverbio inglese che amo molto, servono due persone per ballare il tango. E allora ho esplicitato il patto formativo. Ho usato insomma l’inglese per creare un momento di benessere emozionale e di ridefinizione dei ruoli (soprattutto del mio) che potesse avere ripercussioni positive sul percorso.

2. Classe di migranti adulti in percorso aziendale. L1 parlate: arabo (2 persone), inglese (1 persona), urdu (3 persone), wolof (1 persona, che però conosce anche l’inglese). In questo gruppo, la L1 di chi ne ha una comune viene usata per chiedersi e darsi a vicenda conferme sul corretto svolgimento dei vari task. Trattandosi per la maggior parte di persone scarsamente alfabetizzate in L1, questo momento è importante per lo svolgimento di qualsiasi esercizio che risulti poco familiare, sebbene spesso tutti abbiano già ben chiaro cosa fare, prima che i compagni ne diano conferma. Qui, quando le persone parlano tra loro in arabo o urdu, lingue che non conosco, io posso solo fidarmi, per poi verificare in fase di svolgimento del compito se la comprensione sia stata effettiva. Si crea davvero un momento di perdita di controllo da parte mia di ciò che accade in classe, perché al di là del tono di voce e della gestualità, non ho indizi a me chiari per cogliere la comunicazione che sta avvenendo. Ma ciò non toglie la generale correttezza della comunicazione, e il ruolo psicologico forte che ha per i miei studenti per portare avanti quanto richiesto serenamente. Non solo non mi sento affatto in colpa perché lo fanno, ma sono ben felice che lo facciano, data l’utilità che ha (questa è la realizzazione più piena dell’idea di L1 come strumento raccontata da Haines, secondo me).

Nel prossimo articolo vedremo come la L1 venga usata in alcuni manuali dedicati a gruppi specifici di apprendenti.

Nel frattempo la parola a voi: usate la L1 o una lingua veicolare nella classe di italiano? In che momenti e con quali obiettivi? Quando e perché questa scelta, se la fate, vi sembra efficace e quando invece no?

Sarebbe bello, se lo volete, aggiungere le vostre esperienze ad arricchimento di questo dibattito.

 

Nadia Fiamenghi

 

Vuoi raccontarci la tua esperienza in aula, arricchire queste considerazioni con le tue, oppure offrire nuovi spunti per la discussione? Scrivici a questo indirizzo vitadaula@loescher.it

 


[1] Ho ascoltato P. Haines nell’ambito di un ciclo di conferenze online organizzate da Oxford University Press dal titolo Oxford ELTOC 2019. Pertanto, ciò che riporto qui è una trascrizione dei miei appunti presi durante l’ascolto della conferenza: i dati sono riportati fedelmente, la forma potrebbe variare leggermente da quella usata dal relatore (se non altro perché è da me tradotta dall’inglese all’italiano).

[2] S. Gilardoni, “Gestire l'alternanza L1/L2 nella classe di lingua. Per una riflessione sull'insegnamento delle lingue straniere nella scuola in Italia”, reperito online all’indirizzo //core.ac.uk/download/pdf/43668532.pdf

[3] M. Birello su //italianoinazione.com/2014/08/05/usare-o-non-usare-la-l1-in-classe-questo-e-ancora-un-problema/

[4] P. Haines, conferenza citata

[5] //core.ac.uk/download/pdf/43668532.pdf cit.

[6] ibidem

[7] P. Haines, conferenza citata

[8] Ibidem

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